Maternità e disabilità: la necessità vitale di un compromesso
La legge tutela i diritti delle persone disabili (la fonte più affidabile nel nostro ordinamento è la L. 104/92) e tutela i diritti connessi alla maternità, ad esempio con la concessione di periodi di congedo retribuito dal lavoro per gestire la gravidanza, oltre alle agevolazioni e agli sgravi fiscali per le donne che decidono di partorire.
Uno stato di diritto si definisce tale quando è in grado di includere e sostenere nella vita sociale, non solo chi già ha, ma anche chi, non per colpa sua, si trova in una situazione di difficoltà o anche di semplice impedimento, temporaneo o definitivo. Quando, insomma, non asseconda solo la legge della giungla, quella del più forte, ma fornisce una rete di protezione anche ai cittadini che necessitano di un aiuto ulteriore alle persone in grado di cavarsela perfettamente da sole.
Purtroppo, però, queste due dimensioni, sia dalla prospettiva sociale che legislativa, sembrano essere due universi non comunicanti. O meglio, poco comunicanti.
Spesso le donne disabili incontrano molte difficoltà nella gestione felice di una gravidanza prima e di un sereno rapporto con il figlio dopo, poiché è più difficile per loro, ad esempio, ottenere la custodia legale in caso di divorzio, è più difficile essere considerate idonee per un’adozione o un affido (operazione già complessa per un normodotato)
Partendo da un presupposto legittimo di buona fede, dunque inteso nell’ottica di protezione del nascituro, talvolta si può cadere nella troppa di un pregiudizio: quello per cui una madre con disabilità non sarebbe in grado di prendersi cura di un bambino e che quindi dovrebbe evitare di avere gravidanze. Questo per più di un motivo:
- Viene sconsigliato questo percorso per motivi di tutela biologica della madre, quando la disabilità potrebbe essere causa di una gravidanza difficile e pericolosa, tanto per la madre quanto per il bambino.
- Si ritiene che una donna disabile, poiché non in grado di badare a se stessa, non sarebbe neanche in grado di prendersi cura di suo figlio.
A questo proposito si rende necessario però fare delle precisazioni. In primo luogo sconsigliare tout court la gravidanza ad una donna disabile potrebbe essere un errore, nella misura in cui la persona dovrebbe essere messa in condizione di conoscere metodi alternavi meno rischiosi e più sicuri, per concepire.
In secondo luogo, si rischia di confondere la disabilità con la mancanza di autosufficienza. Una donna che necessita di aiuto per svolgere le normali funzioni vitali, quotidiane e fisiologiche è un conto, una donna che invece ha un’invalidità accertata ma è in grado comunque di assistere se stessa e quindi anche prendersi cura di un bambino ne è un’altra.
Questo punto di vista rischia di corrodere dall’interno la sicurezza e lo slancio vitale della futura mamma disabile, attraverso pensieri di insicurezza, mancanza di autostima e vera e propria paura di non essere in grado o all’altezza di poter essere madre. Una possibilità che non dovrebbe essere negata a prescindere. In più è necessario ricordare che questo tipi di pensieri già gravano nella mente di molte donne, dunque non è giusto aggiungere ulteriore peso per chi si trova in una condizione di difficoltà non per sua responsabilità.